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IL GIORNO CHE AVREI VOLUTO VIVERE

Quel primo passo nella selva oscura

di Davide Rondoni

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11 Agosto 2009

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Andrà narrando in poesia, con i suoi tratti essenziali e smisurati. Con la forza del tratto che è la capacità italiana di essere mastri cesellatori e anche caratteristi al cinema. Dare con pochi segni un mondo. Benedetto e maledetto talento italiano: versi e design. Canova e Sordi. Insomma, esser lì il giorno, la sera, coi bicchieri in mano, noi coi musi stanchi di amori e poesie, afflitti dai debiti e dalle lune, e guardar lui, che sta andando, che sta mettendo un passo dopo l'altro, là, con la sua lingua iniziale. E finale. Lingua compiuta e sempre da compiere, morta e vivissima. Magari vederlo mormorare tra sé, o ruminare in silenzio: «Quanto a dir è cosa dura... selva selvaggia aspra e forte... poco è più morte...».
Lui sa, in questa sera dove si beve ma sembra più assorto del solito, che dovrà anche filare in anima e corpo in luoghi orrendi, in abissi di grida e in correnti d'aria e di oro. Si è preparato per questo, pur in mezzo ai tradimenti. Un allenamento feroce, come aveva promesso a lei. Per diventare uomo della visione. Cioè della scena. Perché solo gli occhi di un uomo che vede il mondo come scena hanno la visione di ciò che sta accadendo. Solo chi guarda al mondo come a una scena è teso a comprendere cosa c'entrano i particolari l'uno con l'altro, a sentire tensioni universali e personalissime. Per vedere cosa avviene veramente.
Come quando si va a teatro, e tutto quel che si vede pensiamo (anche senza pensarci) che debba in qualche modo avere un senso, che si mostra nelle relazioni anche minime tra le cose, gli oggetti, i gesti, le voci. E quella sera, mentre ce ne saremmo stati seduti, stava accadendo il '300, il Giubileo della rinascita proclamato dal corrusco Bonifacio, stava accadendo il dolore che morde un giovane uomo che ha perso la donna che ama, stava accadendo la poesia di un gruppo di amici disgregati poi dalla politica. Stava accadendo Roma animata da fiumi di pellegrini come mai s'erano visti. E doveva dunque accadere il giorno del mezzo del cammin. Di nostra vita.
Come se Dante avesse intrapreso anch'egli per il giubileo un suo speciale pellegrinaggio. Per non perdere Beatrice. Lo scriverà: per trarre via gli uomini dall'infelicità. Se no quel Giubileo era solo una farsa. Un giubilare di niente. Occorreva per così dire il suo viaggio nelle parole e sotto le parole. Sotto gli sguardi, spettacolare, da one man show, e però anche da leggere a livelli profondi. A livello letterale, ma anche anagogico. Il Giubileo, il viaggio di tutti quei pellegrini, in un certo senso, aspettava il viaggio di Dante, «per trarre via gli uomini dall'infelicità».
Pochi anni fa un Papa amante della poesia e dell'arte di fronte alla Sistina ha scritto: la Bibbia aspettava Michelangelo. Così anche il Giubileo del '300 e tutti i Giubilei, aspettavano e aspetteranno Dante e il suo viaggio. Lo strano pellegrino ha un livello di reale che le parole solo in poca misura possono dire, tanto son "corte". Essere lì con lui che non dice una parola. Occhi persi tra le nuvole della sera, come mettendo a fuoco la memoria. Sta iniziando il viaggio. E quel che doveva succedere sta succedendo.

11 Agosto 2009
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